Politica

Eleonora d'Arborea

 

(Molins de Rei, 1340 circa – Giudicato di Arborea, 1404 circa)


Una principessa medievale stratega a capo della Sardegna

Uno dei personaggi più famosi e meno documentati della storia sarda. Giudicessa d'Arborea (sovrana di uno dei quattro giudicati, veri e propri Stati autonomi nei quali era suddivisa l'Isola) nella seconda metà del Trecento firmò un codice di leggi, la Carta de logu, rimasto in vigore con poche modifiche fino al 1827. Oltre a ciò, Eleonora fu l'ultima regnante indigena dell'isola, capace di radunare sotto un'unica bandiera le diverse popolazioni sarde che per la prima volta si riconobbero come "nazione" e lottarono con successo contro gli aragonesi. 


Eleonora è stata dunque rappresentata come principessa guerriera, raffinata madonna cortese, madre affettuosa, sposa fedele, avveduta massaia, devota cristiana, dotta legislatrice.

Esile nella corporatura quanto energica e vigorosa nel carattere, Eleonora D’Arborea, nobildonna sarda, portò con la storia di cui lei stessa si volle rendere protagonista, un vero e proprio cono di luce sulla capacità delle donne di essere strateghe.

Quella che da tutti è ricordata come la “giudichessa” nacque in Catalogna intorno al 1340 da Mariano de Bas – Serra e da Timbra di Roccabertì ed ebbe due fratelli, Ugone e Beatrice. La sua vita si svolse e riguardò la Sardegna dove nel 1347 il padre Mariano venne nominato giudice dalla Corona de Logu, assemblea dei notabili, prelati e funzionari delle città e dei villaggi dell’isola.

Prima della morte del padre, Eleonora aveva sposato Brancaleone Doria, un matrimonio dettato dall’esigenza di creare un’alleanza tra gli Arborea e i Doria da frapporre agli Aragonesi. Dal matrimonio nacquero due figli: Federico e Mariano.

Nel 1382 Eleonora prestò 4000 fiorini d’oro a Nicolò Guarco, doge della Repubblica di Genova, il quale si impegnò a restituirli entro dieci anni; in caso contrario il doge avrebbe dovuto non solo pagare il doppio della somma che gli era stata prestata ma anche concedere sua figlia Bianchina al figlio di Eleonora, Federico.

Il prestito di una tale ed ingente somma di denaro ad una delle più potenti famiglie di Genova e le clausole del contratto, erano già segni del disegno dinastico che la futura giudichessa aveva in  mente.

Inoltre, accordando quel credito, Eleonora intendeva mantenere alto il prestigio della sua famiglia, riconoscere l'importanza degli interessi liguri e  assicurarsi un collegamento, mediante la rete delle loro navi, con tutti i porti del mediterraneo.

In sostanza Eleonora D’Arborea con questo passo entrò alla pari nel gioco della politica europea.

Quando il fratello Ugone III, che era a capo del giudicato, si ammalò si profilò il problema della successione ed Eleonora si rivolse al re d’Aragona perché sostenesse suo figlio piuttosto che il visconte di Barbona, vedovo di sua sorella Beatrice. A trattare con il re inviò il marito Brancaleone, il quale però venne trattenuto dal re che ne fece un ostaggio e uno strumento di pressione contro Eleonora.

Il disegno di Eleonora, che gli spagnoli avevano intuito, era quello di  riunire nelle mani del figlio due terzi della Sardegna che Ugone aveva occupato. Così il re non ritenendo opportuno avere una famiglia tanto potente nel suo regno, tanto più che non essendoci erede diretto maschio di Ugone quei possedimenti, secondo la "iuxta morem italicum", avrebbero dovuto essere incamerati dal fisco, trattenne Brancaleone col pretesto di farlo rientrare in Sardegna non appena una flotta fosse stata pronta.

Ma la risposta di Eleonora non si fece attendere. La donna punì i congiurati e si proclamò giudichessa di Arborea secondo l'antico diritto regio sardo, per cui le donne possono succedere sul trono al loro padre o al loro fratello.

Nella prassi e negli orientamenti di governo la giudichessa si riallacciò direttamente all'esperienza del padre abbandonando definitivamente la politica antiautoritaria del fratello Ugone III. Punti nevralgici del suo governo furono la difesa della sovranità e dei confini territoriali del giudicato e, infine, l'opera di riordino e di sistemazione definitiva degli ordinamenti e degli istituti giuridici locali che diede vita alla Carta de Logu.

La Carta de Logu fu il fiore all’occhiello della politica di Eleonora d’Arborea e fu definita come  un distillato di modernità e saggezza. Nel reagire ai tentativi di infeudazione aragonese, Eleonora emanò, infatti, una nuova disciplina giuridica nei propri territori, i quali erano in uno stato di perenne agitazione politica.

Tale legislazione non era episodica o sporadica ma era la componente di una più vasta politica intesa allo sviluppo dello stato degli Arborea. Tra le norme più importanti sono da citare quelle che salvavano dalla confisca “i beni della moglie e dei figli, incolpevoli, del traditore” , i quali secondo quanto disposto dal parlamento aragonese del 1355, diventavano servi del signore della terra.

Inoltre la giudichessa inserì anche una norma che permetteva il matrimonio riparatore alla violenza carnale subita da una nubile solo qualora la giovane fosse stata consenziente. Altri esempi della portata innovativa della carta sono la contemplazione del reato di omissione di atti d'ufficio, la parità del trattamento dello straniero a condizione di reciprocità, ed il controllo, attraverso "boni homines" delle successioni"ab intestatio" in presenza di minori.

Dopo essere riuscita a completare il progetto del padre di riunire quasi tutta l'isola sotto il suo scettro di giudichessa reggente, tenendo in scacco e ricacciando ai margini dell'Isola, in alcune fortezze sulla costa, gli aragonesi, Eleonora vide crollare il suo progetto per un’imprevedibile incognita della sorte: la peste.

Quella sciagurata epidemia consegnò la Sardegna agli Aragonesi e, nel 1404, si portò via anche lei, Donna Eleonora.

Il popolo sardo la ricorderà come un’eroina, regina guerriera e saggia legislatrice.

Fonti: Libro Vita di Eleonora d'Arborea di Bianca Pitzorno - Scitto di Tiziana Bagnato 


Ninetta Bartoli

 

(24 settembre 1896 - 1978, Borutta)


La prima sindaca d'Italia

Sindaco del comune di allora 600 abitanti e che oggi arriva a stento alla metà, Borutta in provincia di Sassari.  Ninetta, per i suoi compaesani, rimarrà celebre per essersi affermata come sindaco nel sassarese negli anni difficili del dopoguerra, quando l’affermarsi dell’emancipazione femminile in Sardegna era ben lontana da quella raggiunta in altre regioni italiane.  In un decennio realizzò opere importantissime. Fu un sindaco al servizio della sua comunità, riuscendo ad imporre le proprie scelte politiche  agli enti sovraordinati, con l'esercizio della sua autorevolezza. 


Il costume è quello del giorno della festa. Il corpetto bianco con le maniche a sbuffo, la lunga gonna a pieghe ricamata di fiori e il velo, a incorniciare un viso fiero. 

 

La sarda Ninetta Bartoli, prima sindaca d'Italia, si fa ritrarre così, nell'abito della tradizione, da solenne investitura.

Una mano appoggiata sul fianco e occhi che guardano lontano, a quella scelta che nessuna prima di lei aveva fatto: governare il suo piccolo paese.

La famiglia era nobile così lei viene mandata in collegio a Sassari nell’Istituto Figlie di Maria, la scuola più esclusiva della città. Ninetta non si allinea: odia le arti “femminili”, non vuole fare la moglie. Vorrebbe agire

Nella lunga parentesi del fascismo, le aspirazioni politiche e sociali di Ninetta sono assorbite dall’impegno religioso. Ma, nel 1945, subito dopo la fine della guerra, Bartoli è già pronta a diventare segretario della sezione locale della Democrazia Cristiana. La sua candidatura a sindaco, l’anno successivo, è appoggiata dai più autorevoli esponenti della Dc provinciale, in particolare la famiglia Segni. Antonio Segni, più vecchio di lei di cinque anni, sarebbe stato presidente della Repubblica tra 1962 e 1964.

Alle elezioni del 1946, con l’89% delle preferenze, ossia con 332 voti su 371, Ninetta sbaraglia gli uomini avversari e viene eletta.

Si dedicò completamente alle sorti del suo paese, investendo anche i suoi beni nella realizzazione di una casa di riposo e di una latteria sociale, realizzando, nel primo caso, la prima opera di assistenza per anziani e, nel secondo, un opera per lo sviluppo dell’economia di Borutta che viveva allora esclusivamente di pastorizia.

In due «consiliature», come si chiamavano allora, ossia in circa dieci anni, realizza una serie di opere: le scuole elementari, l’asilo infantile, il cimitero, la casa comunale, l’acquedotto e la fognatura, una cooperativa per la raccolta del latte e la produzione di formaggi, una casa di riposo, una filiale cooperativa di credito agrario. Poi avvia una serie di iniziative in campo sociale per offrire alla donne lavori più qualificati. Ninetta non trascura (soprattutto per ragioni religiose) il patrimonio artistico e fa restaurare il complesso monastico di San Pietro di Sorres, una delle più belle chiese romaniche della Sardegna. Lo fa con i suoi soldi e con quelli della famiglia. Nel monastero fa arrivare, fin dal 1955, una comunità di monaci benedettini, l’unica in Sardegna dopo tanti secoli.

Nel 1956 la sua esperienza amministrativa termina con l’ascesa politica dei “Giovani Turchi”, il gruppo di giovani democristiani che mettono in minoranza i “vecchi” dirigenti della Dc sassarese. Ninetta viene scaricata. In fondo, le donne restano «corpi estranei» in un mondo politico che, negli anni Cinquanta, torna a mascolinizzarsi, dopo le speranze accese dalla Resistenza e dalla Costituzione.

Le donne del “continente” combatterono partigiane la guerra, ma non riuscirono subito a conquistare un primato che appartiene all'isola di Sardegna. Insularità che non è isolarità, ma risorsa, fa parte di noi, di un passato prezioso che racconta. Da scoprire, da conoscere. 

Le linee del vero matriarcato sono qua, tra quello che donne come Ninetta Bartoli hanno fatto: dare compimento reale a un ideale, nella vera politica agita con spirito di servizio e con voglia di risolvere problemi.

 

La percentuale delle donne che guidano un'amministrazione comunale è ancora troppo bassa, appena l'11,8% del totale (fonte: Ministero dell'Interno 2013): un dato che non incoraggia, ma che comunque non può far dimenticare la soggettività di donne che si sono messe in gioco e hanno raggiunto con volontà il loro risultato, segnando una strada che tutte, grazie a loro, possono percorrere.  L'esperienza di questa progenitrice è ancora attuale: è passato vivo che ricorda ciò che siamo, cosa abbiamo fatto e cosa possiamo fare.

Ninetta muore a Borutta nel 1978.

A tutt’oggi non le è stata intitolata nessuna strada. Esiste però un premio che ne ricorda il nome e l’azione politica.

 

 


Pasca Piredda

 

(1924 - 2009)


La prima Marò e militare donna d'Italia

Stupisce che la vicenda umana di Pasca Piredda non sia una moderna favola, impiegata in ambiente femminista come manifesto educativo per le giovani e la loro formazione di consapevoli cittadine democratiche.

A rifletterci poi si comprende che la straordiaria esistenza di questa bimba di Nuoro, cresciuta con una precocissima passione politica, abbia un'ombra. Salvò decine di famiglie ebree ma il suo passato politico ne macchiò indelebilmente la memoria. 


 

La grande autocritica di Pasca Piredda le farà riconoscere da subito che il suo ideale era partito sotto l'astro sbagliato, quello che trascinò l'Italia in Guerra, ma l'onore per lei è prima di tutto:  

«Mi ero stufata del fascismo ma non volevo tradire. L'onore sopra ogni cosa».

Ma da quel 25 aprile 1945 l'Italia assumerà dei connotati ben diversi da quelli che lei ha sognato e lottato per delineare.

È la disfatta definitiva del governo nazifascista. È il trionfo della Resistenza. L'Italia è libera.

L'avventura di Pasca non è destino, al contrario ha a che fare con un'autodeterminazione che non può che respirare nella sua nobile famiglia matriarcale di Santu Pedru. A tenere le redini della famiglia è tzia Anna Rosa. Sua madre è cugina di Grazia Deledda, il padre è tra i più ricchi possidenti del nuorese; ha zii rettori di scuole medie e alti magistrati, tutti caparbiamente antifascisti e già militanti del Partito Sardo d'Azione. Il padre è amico fraterno di Emilio Lussu e Berlinguer, padre di Enrico. 

I parenti sono perseguitati dalle autorità.

Ma Pasca è diversa, a lei i cerimoniali fascisti affascinano fino a farne il più alto ideale di vita. 

Eccelle negli studi, alle medie, al liceo fino a conseguire giovanissima due lauree (Scienze Politiche e Scienze Coloniali) e diventare collaboratrice personale del Ministro dell' Istruzione e Cultura Mezzasoma, ma verrà presto rapita dalla Decima Flottiglia Mas che ne farà una Tenente di Vascello e prima donna militare d'Italia. Scampa per miracolo al plotone d'esecuzione grazie all'intervento del comandante Neri, partigiano. Nonostante il ritmo furioso delle rocambolesche evenienze, Pasca ha appena ventidue anni.

Il destino si affaccia dai banchi di scuola. Il primo ad accorgersi della curiosa personalità della bambina è il maestro di Religione, un sacerdote sardista convinto e tenace antifascista. Per decreto ministeriale e precisa disposizione di Governo gli insegnanti sono obbligati a leggere i discorsi di Mussolini. Il prete mastica di corsa la propaganda che compie contro voglia ma la bimba, ammaliata, gli fa rileggere le parole ogni volta, finché le impara a memoria. Il maestro spaesato convoca la famiglia per ammonire.

I genitori per timore di ritorsioni politiche decidono di far seguire ai figli l'educazione dell'epoca. Pasca è dunque coinvolta in gite, convegni, assemblee e saggi.

La giornata di un giovane italiano era proiettata e completamente assorbita nel progetto statale di perfetto cittadino fascista.

È durante i primi anni delle superiori che Pasca scrive un componimento sulla mistica del fascismo

L'elaborato colpisce il Ministero dell'Istruzione tanto che alla giovane viene proposta una sostanziosa borsa di studio che ne copre spese per liceo e università. La ragazza si trasferisce a Roma presso il collegio di San Gregorio al Celio. Inizia per Pasca un'intensa attività a favore delle donne che ne assorbe ogni istante della giornata perché intensa è anche l'attività scolastica.

Dopo il biennio liceale diviene assistente sociale per le operaie e le massaie rurali.

Insegna alle donne di campagna e delle borgate come cucinare, come risparmiare nel preparare i cibi e come conservarli correttamente. Insegna l'igiene e come tenere sani e puliti i bimbi e la casa. Per via del suo brillante carisma gli alti vertici della Scuola di Partito le vogliono far tenere, nonostante la giovanissima età, le conferenze per i membri più anziani. La gerarchia delle nobil donne del fascio non vide di buon occhio quella ragazzina di diciannove anni che si dava anima e corpo per far fronte agli impegni diplomatici di politica estera e rispettare con grande equilibrio la sua vocazione di femminista sui generis.

Pasca si batte affinché alle massaie rurali si concedano gli elettrodomestici gratuiti, le cucine economiche, le macchine da cucire Singer, culle e lettini perché la povertà era tanta che molti bimbi dormivano dentro le cassette per la verdura o gli scatoloni di cartone. Interviene per fare in modo che alle famiglie numerose venga provveduto tutto il corredo necessario per il benessere di mamma e bambini. Nonostante il giudizio autocritico sulla sua esperienza politica, Pasca riconoscerà per sempre: 

«Si può dire quello che si vuole, ma socialmente si faceva molto per la gente, si interveniva veramente per aiutare i più deboli».

Arrivano gli anni dell'università e Pasca deve abbandonare il collegio. Andrà a vivere in un appartamento signorile in Corso Italia 97, senza abbandonare Roma. Porterà con sé la tzeracchedda Caterina, che già da piccola viveva in casa Piredda. La ragazza era sfuggita per un soffio al femminicidio ad opera del fidanzato che abbandonato decise di accoltellarla. Il padre di Pasca fece operare a sue spese la fanciulla a Roma e che poi rimase per sempre a suo servizio. Sono gli anni in cui il Ministero dell'Istruzione la convoca, in virtù della sua prosa poetica, come ghostwriter per stendere la biografia di tutti i mistici della storia, da Rama a Visnù, da Buddah a Cristo senza trascurare di inserire Mussolini. 

 È il 25 luglio 1943, giorno dello storico arresto di Mussolini. Il governo cade. Sono giorni in cui la vita di Pasca è sospesa in un ozio surreale e inerte, in attesa che la storia faccia il suo corso. Arriva la telefonata dell'ex Ministro dell'Istruzione Mezzasoma.

Pasca sarà suo braccio destro in quello che il Duce istituirà come Ministero della Cultura Popolare in seno all'epica Repubblica di Salò. Pasca deve trasferirsi a Nord per seguire il fascio, nonostante lo scoraggiamento della famiglia. 

La ragazza andrà a vivere a Venezia nella celebre "casetta rossa" di Gabriele D'Annunzio.

Poi il rapimento. Il Ministero si rifiuta di passare il messaggio radiofonico per la propaganda dell'arruolamento volontario alla gloriosa Decima Flottiglia Mas, unità militare speciale e apolitica. Era in corso il parallelo arruolamento da parte della Guardia nazionale repubblicana e il Duce non tollerando l'ardire di un simile antagonismo dispose che il messaggio non venisse trasmesso. Gli ufficiali in tutta risposta decidono di rapire Pasca Piredda.

La prigionia dorata, tra le mura del palazzo principesco di Lerici, portò alla netta biforcazione della sua esistenza: ormai delusa dal declino dell'utopia fascista si lascia sedurre dalla purezza filantropica della lotta apartitica del Principe Junio Borghese, Comandante della Flottiglia.

Oltre a sua stretta collaboratrice Borghese farà di Pasca un Tenente di Vascello, la prima Marò e militare donna d'Italia.

Fonderà, con questo ruolo, il giornale "La Cambusa", tra le testate rimaste storiche per essere tra le poche a sfidare i dettami d'omertà del fascio. Mussolini e il tedesco Joseph Goebbles, braccio destro di Hitler, ordinarono una schedatura di ogni mossa di Pasca. Il 28 aprile Mussolini viene ucciso. Pasca viene arrestata e condannata a morte. 

Per la clemenza del comandante dei partigiani, affascinato dalla buona fede idealista della giovane, Pasca scampa alla morte.

Può tornare a casa dove ad accoglierla è la vecchia matriarca Tzia Anna Rosa il cui unico pensiero nonostante le mille e una avventure di Pasca è uno solo: "Spero che tu abbia avuto cura di tenerti pura".

Pasca non abbandonerà mai il suo impegno nel sociale. Si sposerà, diverrà mamma, nonna e bisnonna.

Chiuderà per sempre gli occhi il 7 gennaio del 2009 per entrare nella storia come testimone e protagonista del suo tempo.

Fonti: www.ladonnasarda.it