Carta Europea delle donne nello sport

Ognuno ha il diritto di praticare sport in ambienti sani che garantiscano la dignità umana.

Donne e uomini di età differenti e diverse provenienze sociali e culturali devono avere le stesse opportunità di praticare sport.

Le organizzazioni sportive e le istituzioni devono essere responsabili per l'implementazione di politiche di parità  di genere

e devono trovare strumenti utili alla promozione della partecipazione delle donne nello sport, a tutti i livelli.

In Italia circa 35 milioni di persone esercitano costantemente una qualche pratica sportiva e che su tutto il territorio nazionale ci sono circa 95.000 punti di riferimento facenti capo a società sportive e organizzazioni territoriali; nel corso dell’ultimo ventennio lo sport ha rappresentato per l’infanzia e l’adolescenza il terzo pilastro educativo dopo le famiglie e la scuola, esprimendo valori quali: spirito di squadra, disciplina, solidarietà, rispetto delle regole.

Il 66,5 per cento dei ragazzi e delle ragazze tra gli 11 ed i 14 anni pratica una disciplina sportiva; dal Piano nazionale per la promozione dell’attività sportiva emerge che la popolazione che non esercita alcuno sport è pari al 39,8 per cento, percentuale che sale però al 44 per cento se si fa riferimento alla sola popolazione femminile, mentre la percentuale delle donne che praticano in modo continuativo un’attività sportiva e pari al 25,9 per cento rispetto al 38,6 per cento degli uomini; il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), secondo quanto disciplinato dalla legge 23 luglio 1999, n. 242, ha tra i compiti primari quello di assumere opportune iniziative contro ogni forma di discriminazione e di violenza nello sport, comprendendo dunque anche le discriminazioni e le violenze di genere; nel 1985 l’Unione italiana sport per tutti propose la Carta dei diritti delle donne nello sport, che nel 1987 fu trasformata dal Parlamento europeo nella Risoluzione delle donne nello sport.

Questa carta fu il primo passo per riconoscere ufficialmente le pari opportunità tra uomini e donne nel contesto sportivo; l’11 luglio 2007 la Commissione europea presentò il Libro bianco sullo sport a cui nel 2011 seguì una comunicazione dal titolo «Sviluppare la dimensione europea dello sport», all’interno della quale ampio spazio è dedicato al tema dell’inclusione sociale, con particolare attenzione alle pari opportunità tra uomini e donne nel contesto del Fondo europeo per l’integrazione; la Carta dei diritti della UISP è stata negli anni aggiornata e nel maggio 2011 è stata presentata al Parlamento europeo che però, ad oggi, non l’ha ancora approvata;

la Carta dei diritti sottolinea, tra l’altro, che «donne e uomini di qualunque età devono avere lo stesso diritto di praticare diversi sport e sviluppare competenze nel campo dello studio dello sport» e ancora «donne e uomini devono avere le stesse opportunità di partecipare ai processi decisionali a tutti i livelli e nell’intero sistema sportivo; devono essere rappresentati in maniera equa nei diversi organismi dirigenziali e in tutte le posizioni di potere»; l’Italia esprime eccellenze femminili nello sport in grado di indirizzare la cultura sportiva se supportate da una opportuna funzione e visibilità, impegna il Governo a recepire nell’ordinamento italiano la Carta dei diritti delle donne nello sport e ad adottare tutte le misure necessarie affinché si realizzi una vera parità di genere nel mondo dello sport, sia nella pratica sportiva, agonistica e amatoriale, sia nei ruoli decisionali a tutti i livelli dirigenziali e nelle diverse posizioni di potere; ad assumere tutte le iniziative opportune perché la nuova Carta europea dei diritti delle donne nello sport sia al più presto approvata dal Parlamento europeo.

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Sport femminile nell'antichità

Gran parte della storia antica e moderna ha visto la donna esclusa dall’attività fisica.

Grandi passi avanti si sono fatti dal punto di vista di mentalità e di rispetto dei diritti allo sport. Molti passi sono ancora da fare.

Villa Casale, di Piazza Armerina (Enna) di epoca romana offre uno spettacolo colmo di storia e che ci permette di riflettere.

Il mosaico chiamato “le ragazze in bikini” mostra che già nel IV secolo le donne erano solite esercitarsi in attività fisica.

Sono raffigurate ragazze impegnate nella corsa campestre, nel lancio del disco e nel gioco della palla, mentre le vincitrici vengono premiate con la palma della vittoria e una corona di rose.

Nell’antichità non era quindi inusuale trovare figure femminili dedite alla pratica sportiva.

Nell’antica Grecia troviamo invece una diversa situazione.

Le Olimpiadi antiche, svoltesi dal 776 a.C. al 393 d.C., erano aperte esclusivamente a cittadini di sesso maschile.

Le donne non potevano parteciparvi né da atlete né da spettatrici. Un aneddoto: si dice che a causa della madre di un’atleta che era riuscita ad assistere ai giochi travestendosi da uomo, anche gli spettatori sono stati obbligati a lasciare ogni indumento  fuori dallo stadio.

Nell’epoca del Romanticismo ottocentesco la donna era vista come un essere languido e malinconico, o addirittura “ una creatura malata e dodici volte impura” (Alfred de Vigny).

Il ruolo del genere femminile è stato per lungo tempo legato alla sfera domestica e subordinato alla procreazione.

Pierre de Coubertin ha l’incredibile merito di aver portato le Olimpiadi nell’epoca moderna, nel 1896 ad Atene, ma non era distante dal credo delle manifestazioni antiche riguardo alla partecipazione femminile.

“La partecipazione femminile sarebbe poco pratica, priva di interesse anti-estetica e scorretta” (Pierre de Coubertin, 1912).

A Parigi nel 1900 alcune atlete riuscirono a partecipare in modo non ufficiale alle gare di tennis, croquet, vela e golf.

Continuarono a partecipare a qualche gara in forma non ufficiale, finché nel 1920 ad Anversa furono ammesse ufficialmente.

Nel 1928 ad Amsterdam le donne poterono partecipare alle gare di atletica leggera, fatto che aumentò notevolmente i numeri: 290 atlete su 2883. Tra il 1928 e il 1936 (Berlino) si inserirono gare femminili per le principali discipline olimpiche.

Nel 1968 a Città del Messico ci fu la dimostrazione di una grande crescita del movimento tecnico, e la partecipazione femminile arrivò al 12% del totale.

Le ultime Olimpiadi estive londinesi hanno visto per la prima volta le donne ammesse a tutti gli sport considerati in precedenza totalmente maschili, aggiungendo il pugilato femminile. Paradossalmente due sono le discipline femminili non presenti nella versione maschile: la ginnastica ritmica e il nuoto sincronizzato.

Parlando di Olimpiadi invernali, citiamo alcune discipline: nel Bob, presente dalla prima edizione del 1924 a Chamonix-Mont Blanc (FR), le atlete parteciparono per la prima volta nel 2002 a Salt Lake City (USA). L’Hockey su ghiaccio, anch’esso presente dalla prima edizione, è stato aperto alle squadre femminili nel 1998 (Nagano, J). Il Biathlon venne introdotto nel  1960 (Squaw Valley, USA) per gli uomini e nel 1992 (Albertville, FR) per le donne. Altre specialità come lo Short Track (1992) e lo Snowboard (1998) sono state inserite nelle ultime edizioni e sono state aperte da subito sia a uomini che a donne. Grande conquista per le donne nelle Olimpiadi di Sochi (RU): il salto con gli sci, prima ritenuto troppo pericoloso per le atlete. Unica specialità che manca ancora all’appello degli sport invernali in rosa è la Combinata Nordica, una combinazione di salto con gli sci e sci di fondo.


Differenze fisiche

Uomini e donne hanno un corpo molto diverso nelle sue caratteristiche. La donna adulta in media ha una statura di 7,5–12 cm più bassa, un peso corporeo di 11– 13 KG più leggero, 4,5-6 kg in più di tessuto adiposo, 12–18 kg in meno di massa magra.

Queste differenze valgono per uomini e donne indipendentemente che siano sedentari o atleti.

Fino alla pubertà uomo e donna hanno potenziali atletici molto simili. Con la maturazione sessuale a causa della diversa qualità e quantità di ormoni prodotti le caratteristiche fisiche cambiano in modo importante nei due sessi. Le influenze ormonali sulla composizione corporea sono determinanti.

La donna adulta può raggiungere al massimo i due terzi della forza dell’uomo per la fisiologica minore massa muscolare. L’allenamento sulla forza muscolare può determinare nella donna un aumento di forza del 20-30% ma l’ipertrofia muscolare è comunque in valori assoluti minore che nell’uomo. La massa muscolare oltre che per quantità è diversa nella donna anche per distribuzione: nelle donne essa è maggiormente sviluppata nella parte inferiore del corpo ed in particolare nelle gambe.

E’ facilmente visibile come la donna non abbia nelle braccia e nel dorso importanti masse muscolari.

Questo fa comprendere come le attività di forza che coinvolgono gli arti superiori,  svantaggino le donne in maniera significativa.

Ma vediamo come alcune caratteristiche possano migliorare la condizione femminile: minore massa muscolare significa minori resistenze vascolari periferiche, migliore attivazione neuromuscolare, maggiore ossidazione degli acidi grassi.

Il basso livello di testosterone impedisce alla donna di incrementare con l’allenamento la massa muscolare ( ipertrofia ) allo stesso livello dell’uomo ma non impedisce di esaltarne le capacità di resistenza alla fatica. Anche la meccanica della corsa è differente tra uomo e donna. La conformazione del corpo femminile necessita di uno sforzo maggiore per spostare il bacino, con una lieve riduzione dell’efficacia meccanica. Va infine ricordato a proposito di apparato locomotore che gli estrogeni conferiscono all’organismo femminile una elevata elasticità, nettamente superiore a quella dell’uomo. Questa caratteristica si traduce in evidente vantaggio nella pratica di alcuni sport (ginnastica).

D’altro canto un aumento della lassità legamentosa a carico delle principali articolazioni ed una minore resistenza e densità ossea rappresentano degli svantaggi, essendo cause di maggior rischio infortuni rispetto agli atleti di sesso maschile.

Anche l’apparato cardiaco è differente: il cuore femminile è proporzionalmente più piccolo rispetto a quello degli uomini, sono quindi minori la gittata sistolica e la portata cardiaca: l’apporto di ossigeno ai tessuti è quindi inferiore (Ugo Monsellato, 2013).

 

Nonostante tali consistenti differenze, le modalità e i caratteri della risposta dell’organismo femminile all’allenamento non sono dissimili a quelli descritti tradizionalmente per gli  uomini. Le donne, proporzionalmente al livello di partenza, beneficiano dell’allenamento esattamente come i maschi, così come sovrapponibili sono i meccanismi  biochimici in corso  di esercizio fisico. Diversi sono gli effetti dell’allenamento sulla composizione corporea della donna e dell’uomo praticanti attività sportiva di pari livello : più veloce perdita della componente grassa , ma più lento incremento della componente muscolare nella donna.

La riduzione di peso, pur non importante, sarà accompagnata da un costane incremento della performance sportiva.

Altra grande differenza tra uomini e donne è il ciclo mestruale, che può rivelarsi un problema nelle atlete quando l’attività fisica è troppo intensa: il menarca può non comparire, o il ciclo può interrompersi, creando squilibri ormonali consistenti. Tale condizione può essere  sintomo di Disturbi Alimentari. Particolarmente a rischio sono alcuni sport di resistenza (atletica leggera, nuoto, canottaggio) o di figura (ginnastica, pattinaggio di figura, danza), in  cui la leggerezza fisica e l’aspetto hanno grande importanza (Vanessa Costa, 2013).

 

Un’attività fisica moderata non ha invece nessuna influenza sul ciclo mestruale.

Controlli medici sono necessari in caso di sforzi fisici intensi e attenzione particolare va dedicata da parte di allenatori, genitori e dirigenti nei confronti di ragazze in sport a rischio.

Con una giusta prevenzione, nessuna controindicazione è visibile in alcuno sport.

 

Questo excursus nella fisiologia del corpo femminile ci ha permesso di notare le differenze con il corpo maschile, ma anche le risorse delle donne e le loro possibilità nello sport.

Il corpo femminile dev’essere allenato e rispettato in un modo diverso da quello dell’uomo,  ma non ha nessuna controindicazione a un’attività fisica intensa e legata alla performance, se sottoposta a controlli medici, ad attenzioni particolari e a una corretta prevenzione.


Sport e gravidanza

Mentre lavorare, cucinare, pulire i pavimenti e, per le donne più fortunate, stirare, sono attività fattibili da entrambi i sessi, una competenza rimarrà legata al mondo in rosa: la procreazione.

Le donne oltre ad affrontare la gravidanza, devono dedicarsi alla gran parte delle necessità del bambino appena nato.

Anche qui l’evoluzione ha avuto da dire: l’orecchio femminile, per esempio, è più sensibile alla frequenza del pianto del bambino.

Cosa può significare tutto ciò in termini di sport? Non ci sono controindicazioni particolari riguardo lo sport in gravidanza e nel periodo del post parto.  Sono gli impegni e l’energia fisica a disposizione a cambiare. Con qualche difficoltà in più rispetto agli uomini che diventano papà, ma anche le mamme possono riuscire ad avere una vita sportiva intensa, magari con qualche aiuto esterno da parte del partner e della famiglia.

Nel caso di gravidanza, non ci sono altre controindicazioni se non quelle mediche ed  ostetriche nel praticare sport. Il corpo della donna e il suo apporto di energia si modificano notevolmente, ma il peso corporeo del neonato non sembra essere modificato dalla pratica di esercizio fisico anche intenso da parte di atlete. Uno stretto controllo medico è comunque consigliabile, per la salute della donna e del bambino. Sconsigliati sono invece gli sport ad alto rischio di traumi. Prestazioni di altissimo livello sono stati ottenute da atlete in stato di gravidanza :

“Mio figlio nascerà con la medaglia al collo, sono felicissima. Mentre sparavo sentivo muovere il bambino” (Chiara Cainero, 35 anni, al quinto mese di gravidanza, agosto 2013, oro nello skeet donne agli Europei di tiro a volo, Suhl, Germania).

E’ provato inoltre che le donne che svolgono attività sportiva hanno un parto più facile rispetto alle sedentarie.

 

Inoltre la maternità non limita la prestazione sportiva.

Numerose atlete hanno ottenuto le loro performance migliori tra il primo ed il secondo anno dopo il parto.